Storia del cimitero

Il campo di prigionia di Milovice ed il Cimitero

Il campo di prigionia di Milovice non sorse, come altri campi di prigionia, in modo indipendente, bensì sul territorio del poligono militare di Milovice (allora chiamato Staré Benátky).


Agli inizi del XX secolo la Monarchia asburgica aveva allestito un poligono di grandi dimensioni soltanto a Hajmasker in Ungheria: tale poligono era destinato alle esercitazioni di tiro di artiglieria, conseguentemente venne presa la decisione di predisporre un’altra area da utilizzare per gli stessi scopi.


Nel 1903 l’erario militare asburgico avviò, pertanto, nella zona di Benátky nad Jizerou in Boemia centrale, trattative con i proprietari terrieri della zona finalizzate alla acquisizione dei terreni stessi (gran parte dei latifondi appartenevano alla famiglia Thun-Hohenstein.
Nel 1904 già erano pronti i relativi contratti di acquisto,. Il poligono originariamente si estendeva per 35 km2. Ed il villaggio di Mladá che si trovava all’interno del poligono, fu spostato altrove.


Il poligono di nuovo allestimento venne destinato, in particolare, alle unità dell’VIII e IX Corpi d’Armata dislocate in tutta la Boemia. Le prime strutture furono immediatamente poste in opera dopo l’acquisto avvenuto del 1904 con uno sviluppo in direzione sud est di un lieve pendio.


Il primo quartiere era composto da 43 edifici ad un piano destinati in massima parte all’alloggiamento delle truppe. Fu anche costruito un ospedale ed un padiglione d’isolamento non mancavano inoltre stalle per cavalli, officine di vario tipo ed un bagno termale. Nel poligono non ci fu mai una guarnigione fissa e le caserme erano occupate in maniera temporanea dalle truppe che si esercitavano al tiro a fuoco. All’epoca nel poligono non c’erano elettricità, fogne e acquedotto.


Milovice, fino alla costituzione del poligono era un villaggio di nessuna importanza. Dopo il 1904 sorsero in esso (ma anche in alcuni villaggi vicini) una chiesa, una casa parrocchiale ed un ufficio postale. Si sviluppò inoltre il commercio con svariate botteghe artigiane e luoghi di ristoro.


Allo scoppio della 1. Guerra mondiale le truppe non furono più alloggiate nel comprensorio poiché gli edifici originari (campo I) furono destinati ad accogliere il sempre crescente numero di prigionieri, inizialmente russi e serbi. Nei primi tre mesi di guerra ne furono infatti internati circa 5.000. Nell’autunno del 1914 l’erario astro-ungarico, per fare fronte alla esigenza, avviò la costruzione di nuove baracche (campo II) , queste furono innalzate ad ovest dal campo I. La costruzione fu affidata ai contadini della zona ed ai prigionieri russi. Le baracche erano lunghe da 30 a 45 metri ed erano larghe 10 metri. On ogni baracca potevano essere alloggiati dai 200 ai 300 uomini. Gli uomini di 4 baracche rappresentavano un battaglione di prigionieri comandato da un sottufficiale scelto anch’esso tra le file dei prigionieri.
Con l’entrata in guerra dell’Italia , a causa del continuo affluire di prigionieri, fu costruito il campo III, a nord-est dal campo I. In quest’area vennero costruite 46 baracche dello stesso tipo del campo II. Dalla documentazione storica del campo, alla data del 19 giugno del 1915 erano presenti 25.391 prigionieri di varie nazionalità. Il numero comunque variava poiché i prigionieri venivano spesso trasferiti o in altri campi di prigionia o in altri campi di lavoro.
Poiché l’Austria-Ungheria era firmataria di tutti i trattati internazionali relativi ai prigionieri di guerra, in particolare quelli dell’Aia e di Ginevra, onde evitare reazioni da parte dei paesi neutrali circa il trattamento riservato agli internati, si adoperò per attenersi a tali convenzioni.


Sia i soldati che i sottufficiali erano obbligati a lavorare, sebbene a questi ultimi fosse riconosciuto un trattamento conforme al loro rango. Gli ufficiali erano invece esenti dall’obbligo di lavoro, avevano libertà di movimento, e potevano scegliersi un attendente tra le file della truppa. Volontari e studenti potevano a richiesta essere impiegati ai lavori di fureria o di assistenza negli ospedali. I medici di fatto non venivano trattati da prigionieri.


Ben presto l’ospedale preesistente, essendosi dimostrato inadeguato alla ricezione, impose la necessità di trasformare 10 baracche in luogo di ricovero e di altre 2 in reparti di isolamento per i casi di infezione. Ciò si rese necessario sia a causa del sempre maggior numero di prigionieri che affluivano al campo sia al diffondersi delle malattie infettive. Le diagnosi prevalenti riguardavano: polmonite, meningite, malattie di apparato digerente, deficit cardiaco,, edema polmonare, tbc, tifo, spagnola, purpura hemorrhagica, indebolimento generale, colera ecc. Gli italiani, a differenza dei russi e dei serbi, che erano abituati ai climi rigidi, patirono più di questi ultimi le privazioni della prigionia. I decessi registrati nella documentazione conservata presso gli archivi consentono di stimare una media di 3-4 casi giornalieri con punte, in certi periodo, di anche 35.
Le salme venivano inizialmente inumate in bare e singolarmente. Successivamente dopo i primi sessantaquattro decessi furono sepolti in fosse comuni e senza bara. Al funerale di tutti i morti italiani partecipò sempre il sacerdote cattolico di Milovice, padre Pavel Svankmaier.


Il cimitero militare venne allestito nel 1915 su di un’area di circa 5.000 mq. Secondo alcuni documenti il numero dei Caduti italiani che in esso riposano ammonterebbe a 5.094, conteggiando però i singoli nominativi sui registri si arriva alla cifra di 5.176, più un altro prigioniero italiano nato in Brasile e registrato come “americano”. A questo numero devono aggiungersi i 182 italiani esumati nel maggio del 1927 dal cimitero di Broumov e concentrati a Milovice.
Oltre agli italiani nel cimitero vennero sepolti 2 francesi, 527 russi di varia nazionalità (compresi estoni, lettoni un finlandese ecc.) e 144 astro-ungarici. Negli anni successivi inoltre vi furono inumati 35 cecoslovacchi, 38 tedeschi, 10 russi e 4 donne e 2 bambini non meglio identificati.